Sicurezza in montagna: non è un freno per la libertà
L'idea di montagna come simbolo assoluto di libertà va pian piano sfumando e, con questa, anche la nostra possibilità di avere spazi totalmente liberi
Viviamo in un'epoca in cui le norme e i regolamenti rischiano di imbrigliare molte attività umane caratterizzate da una componente intrinseca di rischio.
L'obiettivo? Prevenire ogni tipo di conseguenza negativa per le persone.
Un eccesso di sicurezza, paradossalmente, può però provocare una restrizione delle libertà, a iniziare proprio dalla libera frequentazione della montagna.
"Recintata" da norme e regolamenti sempre più restrittivi, l'idea di montagna come simbolo assoluto di libertà va pian piano sfumando e, con questa, anche la nostra possibilità di avere spazi totalmente liberi, compresa la possibilità di affrontare i rischi.
La parola libertà suscita emozioni immediate, èuna "parola grossa". Un concetto complesso declinato in modi diversi e di cui spesso si abusa, che ha a che fare con il sé, con l'altro, con la società e le sue regole, Non vogliamo addentraci in esercizi di stile o proporre riflessioni approfondite sul concetto di libertà (compito che richiede competenze che altri e ben più iIlustri di noi posseggono), vogliamo invece proporvi alcune riflessioni sulla libertà di pratica dell'alpinismo e di frequentazione della montagna.
La montagna èuno spazio di libertà
Quella libertà di autorealizzazione che John Stuart Mill nel suo saggio "Sulla libertà" (1859), definisce "la libertà di realizzare per sèquello che si ritiene il proprio bene in un autonomo sviluppo della propria personalità".
Libertà intesa quindi come responsabilità e come diritto individuale di scegliere dove, quando e come andare in montagna, sapendo con chiarezza che ciò significa anche esporsi al rischio e al pericolo derivante dall'ambiente e dai nostri limiti.
Ovvero praticare con scienza e coscienza l'avventura.
Coscienza del rischio, accettazione dell'imprevedibile e senso del limite sono ingredienti base della libertà d'avventura in montagna e ovunque.
Libertà d'esperienza che non èpropria solo dell'alpinismo o della speleologia, ma ècondivisa da navigatori, esploratori, subacquei, volatori a vela... solo per citarne alcuni.
Questi concetti sono nel DNA della comunità alpinistica, ma allora perchène parliamo? Da un po' di tempo la libertà di frequentare la montagna èmessa sempre più in discussione.
Non si tratta solo del puntuale abbaiare alla montagna assassina con appelli e proposte di
regolamentazione che leggiamo sui giornali dopo un incidente in montagna. La questione è più profonda e radicata nel modello socio-culturale della sociéte sicuritaire, termine fraucese che, come èstato detto in diverse occasioni, potrebbe essere tradotto in italiano con il neologismo società
sicuritaria, o società del rischio, una società che antepone a tal punto la messa in sicurezza dell'individuo in tutte le sue manifestazioni, da riuscire a castrare qualunque forma di autodifesa e di presa di responsabilità dell'individuo stesso e - a nostro modo di vedere - non riguarda solo la libertà di realizzazione di sé di alpinisti, speleologi, esploratori, ma riguarda l'intera nostra esperienza di individui e di cittadini.
Questo modello tende ad azzerare il rischio e modifica la percezione sociale e culturale dell'esperienza della vita, indirizzandola verso quella che potremmo definire anche come l'utopia della vita a rischio zero, mentre il rischio èproprio uno degli elementi della vita e dell'esperienza umana.
Il concetto di rischio ègeneralmente associato all'idea di minaccia e di perdita, ma recentemente ha assunto un significato più ampio: quello di rischio/opportunità. Significato quest'ultimo ben presente in chi pratica l'alpinismo.
Possiamo distinguere due tipi di rischio: il primo basato su stime tecnico-scientifiche e il secondo, chiamato "rischio reale", dipendente dalla percezione umana del rischio.
Dunque la caratteristica prima del rischio èdi essere valutabile.
La società sicuritaria èforse il frutto estremo di un modello che alla base ha una ragione positiva, ovvero l'idea che la società si faccia carico in una certa misura della sicurezza dei suoi membri, ad esempio nei luoghi di lavoro. C'èdifferenza però tra una società che ha a cuore la mitigazione del rischio per gli individui e una che antepone in maniera ossessiva la sicurezza dell'individuo all'individuo stesso.
Un ampio superamento del limite della giusta tutela degli individui da parte della società potrebbe proiettarci, tra le altre cose, verso un mondo fatto di persone che smarriscono o diminuiscono la percezione del rischio (e quindi di limite) e del pericolo, influenzando anche il concetto di responsabilità e di autotutela.
Non siamo affatto per la cultura né per la società del no limits, anzi, il contrario.
Proprio per questo il modello sicuritario non ci piace, perché limita la libertà di autorealizzazione, forse l'idea stessa di responsabilità individuale e di scelta e, come sostengono in tanti, la libertà d'espressione. Tale modello applicato in concreto alla montagna si traduce in termini generali in divieti di frequentazione di versanti o zone, varie proposte di patentini, presenza di controllori nelle vie d'accesso, fiducia cieca nella tecnologia e nel tecnicismo con obbligo di essere attrezzati in un certo modo e altre amenità: tutto in nome della sicurezza.
La sicuerezza non va confusa con la sicurità.
Non esiste la sicurezza assoluta, sostenere che esista èfuorviante (èbene ripeterlo).
Esiste invece la ricerca di una maggior sicurezza che si ottiene attraverso la preparazione, lo studio, valutazione del rischio e le strategie di diminuzione dello stesso, accettando la presenza dell'imprevedibile e sviluppando il senso del limite.
L'argomento è caldo (infatti recentemente anche in Italia è nato l'"Osservatorio sulla libertà in montagna"), e speriamo che questo dibattito si allarghi dalla comunità alpinistica alle istituzioni, e che da esso possano in breve tempo sorgere indicazioni per il legislatore al fine di evitare la tendenza ad andare sempre più verso l'idea di "vietare la montagna in nome della sicurezza".
(tratto da "Montagne360°" la rivista del Club Alpino Italiano)
Riferimenti e approfondimenti sulla libertà in montagna
"Il rischio in alpinismo: salvarlo o eliminarlo?" Palamonti di Bergamo il 19 novembre 2011
http://www.loscarpone.cai.it/news/items/il-vero-rischio-e-non-rischiare-cai.html
"La Libertà dell'alpinismo sulla base dei valori durevoli" Dro (TN) il 6 ottobre 2012
http://www.youtube.com/user/convegnoalpinismo
Congresso "La libertà delle proprie scelte, la libertà in montagna" organizzato dal CAI il 24 ottobre 2012 nel corso dell'International Mountain Summit a Bressanone (BZ)
http://www.ims.bz/it